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IL RISARCIMENTO DEL DANNO CAUSATO DA ANIMALE SELVATICO

Aggiornamento: 25 apr 2020

La Regione è responsabile del danno laddove esso sia opportunamente provato secondo i criteri civilistici e la stessa non alleghi prova liberatoria (caso fortuito).

Corte di cassazione, Sez. III civ., sentenza 20 aprile 2020, n. 7969

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La Corte di cassazione, Sez. III con sentenza 20 aprile 2020, n. 7969 ha effettuato un vero e proprio revirement in materia pronunciando il seguente principio di diritto:


«ai fini del risarcimento dei danni cagionati dagli animali selvatici appartenenti alle specie protette e che rientrano, ai sensi della L. n. 157 del 1992, nel patrimonio indisponibile dello Stato, va applicato il criterio di imputazione della responsabilità di cui all'art. 2052 c.c. e il soggetto pubblico responsabile va individuato nella Regione, in quanto ente al quale spetta in materia la funzione normativa, nonché le funzioni amministrative di programmazione, coordinamento, controllo delle attività eventualmente svolte - per delega o in base a poteri di cui sono direttamente titolari - da altri enti, ivi inclusi i poteri sostitutivi per i casi di eventuali omissioni (e che dunque rappresenta l'ente che "si serve", in senso pubblicistico, del patrimonio faunistico protetto), al fine di perseguire l'utilità collettiva di tutela dell'ambiente e dell'ecosistema; la Regione potrà eventualmente rivalersi (anche chiamandoli in causa nel giudizio promosso dal danneggiato) nei confronti degli altri enti ai quali sarebbe spettato di porre in essere in concreto le misure che avrebbero dovuto impedire il danno, in quanto a tanto delegati, ovvero trattandosi di competenze di loro diretta titolarità.».


Il fatto

Un cittadino citava in giudizio la Regione Abruzzo dinanzi al Giudice di Pace di Pescara al fine di vedersi riconosciuti i danni arrecati al proprio veicolo in conseguenza dell'investimento di un cinghiale lungo una strada pubblica abruzzese.

Il G.d.P. accoglieva la domanda attorea e la Regione interponeva appello dinanzi al Tribunale il quale confermava la decisione di primo grado.

Per la cassazione di tale pronuncia la Regione proponeva ricorso sulla base di un unico motivo.

Deduceva l'Ente regionale la carenza di legittimazione passiva in capo alla medesima, sul piano sostanziale, a rispondere dei danni riportati dall'autovettura dell'attore, senza svolgere in realtà censure in ordine all'affermazione della sussistenza di una condotta colposa, causalmente rilevante in relazione ai suddetti danni, addebitabile in concreto proprio al soggetto pubblico titolare delle funzioni di controllo e gestione della fauna selvatica nell'area in cui è avvenuto l'incidente.

Tuttavia la Corte Suprema ha ritenuto il motivo non fondato ed ha respinto il ricorso della Regione Abruzzo sulla base delle seguenti motivazioni.


MOTIVAZIONI

La questione attiene alla individuazione del soggetto, pubblico o privato, responsabile a risarcire i danni causati da animali selvatici.

I danni causati dagli animali selvatici, in passato, erano considerati sostanzialmente non indennizzabili, in quanto tutta la fauna selvatica era ritenuta res nullius.

Con la L. 27 dicembre 1977, n. 968 la fauna selvatica (appartenente a determinate specie protette) è stata dichiarata patrimonio indisponibile dello Stato, tutelata nell'interesse della comunità nazionale e le relative funzioni normative e amministrative sono state assegnate alle Regioni, anche in virtù dell'art. 117 Cost.

Successivamente, la L. 11 febbraio 1992, n. 157 (Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio) ha specificato che la predetta tutela riguarda "le specie di mammiferi e di uccelli dei quali esistono popolazioni viventi stabilmente o temporaneamente in stato di naturale libertà nel territorio nazionale", con le eccezioni specificate (talpe, ratti, topi propriamente detti, nutrie, arvicole) ed avviene anche nell'interesse della comunità internazionale, precisando, le speciali competenze assegnate alle Regioni a statuto ordinario ed alle Province.


L'indirizzo consolidato della Corte propende a ritenere lo stato di libertà della selvaggina incompatibile con l'obbligo di custodia da parte della pubblica amministrazione e, quindi, a dichiarare l'inapplicabilità nei casi di specie dell'art. 2052 Cod. Civ.

Tale responsabilità sarebbe azionabile soltanto alla stregua dei principi della responsabilità extracontrattuale ex art. 2043 Cod. Civ. con quanto consegue in tema di onere della prova, richiedendo dunque l'individuazione in capo all'amministrazione pubblica e ad onere di chi aziona la pretesa risarcitoria di un concreto comportamento colposo ascrivibile all'Ente pubblico (cfr., ad es.: Cass., Sez. III, Sentenza n. 8788 del 12/08/1991, Rv. 473498 - 01; Sez. 3, Sentenza n. 2192 del 15/03/1996, Rv. 496375 - 01; Sez. 3, Sentenza n. 1638 del 14/02/2000, Rv. 533850 - 01; Sez. 3, Sentenza n. 10737 del 23/07/2002, Rv. 556100 - 01; Sez. 3, Sentenza n. 10008 del 24/06/2003, Rv. 564507 - 01; Sez. 3, Sentenza n. 7080 del 28/03/2006, Rv. ..., 588414 - 01; Sez. 3, Sentenza n. 27673 del 21/11/2008, Rv. 605619 - 01; Sez. 1, Sentenza n. 9276 del 24/04/2014, Rv. 631131 - 01; Sez. 3 -, Ordinanza n. 5722 del 27/02/2019, Rv. 652994 - 01).


Tale indirizzo ha anche superato il vaglio della Corte Costituzionale, la quale - con Ordinanza in data 4 gennaio 2001 n. 4 - ha ritenuto non sussistere una irragionevole disparità di trattamento tra il privato proprietario di un animale domestico o in cattività, che risponde dei danni da questo arrecati secondo il criterio di imputazione di cui all'art. 2052 Cod. Civ., e la pubblica amministrazione, nel cui patrimonio sono ricompresi gli animali selvatici (ciò sull'assunto per cui, poiché questi ultimi soddisfano il godimento della intera collettività, i danni prodotti dagli stessi costituiscono un evento naturale di cui la comunità intera deve farsi carico secondo il regime ordinario di imputazione della responsabilità civile di cui all'art. 2043 c.c.).


Secondo l'originaria impostazione della Corte di cassazione l'indicata ricostruzione del regime di imputazione della responsabilità per i danni causati dagli animali selvatici ha inizialmente comportato l'individuazione dell'ente pubblico (eventualmente) responsabile per la colposa omessa adozione delle misure necessarie ad impedirli, nell'Ente Regione, quale titolare della competenza a disciplinare, sul piano normativo e amministrativo, la tutela della fauna e la gestione sociale del territorio; e ciò anche laddove la Regione avesse delegato i suoi compiti alle Province, poiché la delega non fa venir meno la titolarità di tali poteri e deve essere esercitata nell'ambito delle direttive dell'ente delegante.


La Corte ha anche affermato (Sez. IV Civ., ordinanza 24 settembre 2018, n. 22525) che la responsabilità per i danni causati da fauna selvatica è disciplinata dalle regole generali di cui all'art. 2043 Cod. Civ. e non da quelle di cui all'art. 2052 Cod. Civ. Pertanto non è possibile individuare la responsabilità sulla base dell'addebito all'Ente cui la normativa nazionale e regionale affida in generale il compito di tutela della predetta fauna, occorrendo all'uopo la puntuale allegazione e la prova di una concreta condotta colposa ascrivibile all'Ente e della riconducibilità dell'evento dannoso al mancato adempimento di tale obbligo (nesso eziologico diretto ed immediato), sulla base dei principi della causalità omissiva, onere che ricade sul soggetto che avanza la pretesa risarcitoria.


Successivamente la Suprema Corte ha operato alcune specificazioni dirette a modificare, in sostanza, il criterio di imputazione soggettiva della responsabilità in esame, ritenendo che, sulla base del contenuto della clausola generale di cui all'art. 2043 Cod. Civ. la quale richiede l'individuazione del concreto comportamento colposo ascrivibile all'ente, tale responsabilità deve essere imputata al soggetto a cui siano stati concretamente affidati, anche in attuazione della L. 157/1992, i poteri di amministrazione del territorio e della fauna in esso insediata, sia che tali poteri derivino dalla legge sia che essi trovino fonte in una delega o nella concessione di altro ente (cfr., ad es., Cass., Sez. 3, Sentenza n. 80 del 08/01/2010, Rv. 610868 - 01; conf.: Sez. 3, Sentenza n. 21395 del 10/10/2014, Rv. 632728 - 01; Sez. 3, Sentenza n. 12727 del 21/06/2016, Rv. 640258 - 01; Sez. 3 -, Ordinanza n. 18952 del 31/07/2017, Rv. 645378 - 01; Sez. 6 - 3, Ordinanza n. 23151 del 17/09/2019, Rv. 655507 - 01).


Nell'ottica di questa impostazione di fondo, sostanzialmente nuova, si è peraltro talvolta precisato che la Regione, anche in caso di delega di funzioni alle Province, è responsabile, ai sensi dell'art. 2043 Cod. Civ., dei danni provocati da animali selvatici a persone o a cose, il cui risarcimento non sia previsto da specifiche norme, a meno che non sia dimostrato che la delega attribuisca alle Province un'autonomia decisionale ed operativa sufficiente a consentire loro di svolgere l'attività in modo da poter efficientemente amministrare i rischi di danni a terzi e da poter adottare le misure normalmente idonee a prevenire, evitare o limitare tali danni (Cass., Sez. 3, Sentenza n. 4202 del 21/02/2011, Rv. 616849 - 01, con conferma della decisione di merito che aveva attribuito alla Regione Molise la responsabilità dei danni derivati dall'impatto tra una autovettura ed alcuni caprioli, sebbene la legge regionale avesse delegato alle Province la gestione della fauna selvatica).


In altre decisioni si è invece sancito che si deve indagare, di volta in volta, se l'ente delegato sia stato ragionevolmente posto in condizioni di adempiere ai compiti affidatigli, o sia un "nudus minister", senza alcuna concreta ed effettiva possibilità operativa (cfr.: Cass., Sez. 3, Sentenza n. 26197 del 06/12/2011, Rv. 620678 - 01, ipotesi in cui si è confermata la decisione di merito che aveva rigettato una domanda proposta contro la Regione Calabria per i danni causati da istrici ad una piantagione, per avere la legge regionale delegato alle Province la gestione della fauna selvatica; Sez. 3, Sentenza n. 12727 del 21/06/2016, Rv. 640258 - 01, fattispecie in cui è stata negata la responsabilità della Provincia di Reggio Emilia per danni causati da caprioli, ritenendosi legittimata passiva all'azione risarcitoria la locale azienda venatoria: di recente: Sez. 6 - 3, Ordinanza n. 23151 del 17/09/2019, Rv. 655507 01; in tale ultimo caso risulta cassata la decisione di merito che aveva escluso la responsabilità della Provincia di Macerata per i danni causati ad un'autovettura da un cinghiale, affermandosi che, anche in caso di delega, non vi è, in linea di principio, responsabilità civile esclusiva del delegante, e quindi vi sarebbe comunque responsabilità della Provincia, almeno concorrente, e disponendosi che in sede di rinvio fosse accertato anche quali poteri in concreto erano stati trasferiti alla Provincia, cioè se la Regione avesse messo quest'ultima nelle condizioni materiali di provvedere alla gestione ed al controllo della fauna selvatica, ovvero, in altre parole, se la Provincia, oltre a disporre dei poteri attribuitile dalla Regione "sulla carta", avesse anche ricevuto i mezzi per farvi fronte).


In altri casi ancora si è poi stabilito che la responsabilità extracontrattuale per danni provocati alla circolazione stradale da animali selvatici va imputata alla Provincia a cui appartiene la strada ove si è verificato il sinistro, in quanto ente cui sono stati concretamente affidati poteri di amministrazione e funzioni di cura e protezione degli animali selvatici nell'ambito di un determinato territorio, e non già alla Regione, cui invece spetta, ai sensi della L. 11 febbraio 1992, n. 157, salve eventuali disposizioni regionali di segno opposto, solo il potere normativo per la gestione e tutela di tutte le specie di fauna selvatica (Cass., Sez. 6 - 3, Sentenza n. 12808 del 19/06/2015, Rv. 635775 - 01; in tal caso è stata confermata la decisione di merito, che aveva escluso la legittimazione passiva della Regione Abruzzo, per i danni ad un'autovettura causati da un cervo; nella fattispecie decisa da Cass., Sez. 3, Sentenza n. 11785 del 12/05/2017, Rv. 644198 - 01, per i danni causati dall'attraversamento della carreggiata autostradale da parte di un capriolo, è stata invece cassata la decisione di merito che aveva escluso la responsabilità della società di gestione autostradale, ai sensi dell'art. 2051 c.c., sul solo rilievo della presenza di una recinzione, ancorché integra, in corrispondenza del tratto interessato dall'incidente).


Si è altresì affermato che i poteri di protezione e gestione della fauna selvatica attribuiti alle Province toscane rendono le stesse responsabili dei danni cagionati da animali selvatici (Cass., Sez. 3, Sentenza n. 22886 del 10/11/2015, Rv. 638769 - 01, con conferma della decisione di merito che, in relazione al danno subito da un'autovettura a seguito dell'impatto con un capriolo, aveva peraltro condannato sia la Regione Toscana che la Provincia di Siena; la responsabilità della Regione Toscana risulta invece esclusa nel caso deciso da Sez. 3, Ordinanza n. 18952 del 31/07/2017, Rv. 645378 - 01, sul presupposto della legittimazione esclusiva della locale Provincia, nella specie non citata in giudizio, per i danni causati ad un motociclista da un branco di cinghiali; mentre proprio la responsabilità della Provincia di Siena risulta esclusa nel caso deciso da Cass., Sez. 3, Sentenza n. 16642 del 09/08/2016, Rv. 641488 - 01, ancora relativo a danni derivanti dall'impatto tra una autovettura ed un cinghiale, sull'assunto che i poteri di protezione e gestione della fauna selvatica attribuiti alle Province toscane ai sensi della L.R. Toscana n. 3 del 1994, da cui discende la responsabilità delle medesime per i danni cagionati da animali selvatici anche a protezione degli utenti della strada per i rischi riconducibili al ripopolamento della fauna, non determinano l'assunzione di specifici doveri di diligenza, al di là di quello generale assolto con la segnaletica stradale, non potendo discendere in

capo all'ente delegato doveri diversi da quelli previsti da specifiche disposizioni normative).

Si è anche affermato che le Province dell'Emilia Romagna sono responsabili dei danni provocati nell'intero territorio da specie il cui prelievo venatorio sia vietato, anche temporaneamente, per ragioni di pubblico interesse (Cass., Sez. 3, Sentenza n. 12727 del 21/06/2016, Rv. 640258 - 01, già richiamata, nella quale peraltro la legittimazione passiva della Provincia di Reggio Emilia risulta in concreto esclusa, in ragione dell'effettivo oggetto della domanda, essendosi ritenuta legittimata esclusivamente l'azienda venatoria locale, con conseguente rigetto della domanda dell'attore).


L'illustrato quadro giurisprudenziale pone in evidenza la non chiarezza e la non univocità di indirizzo della Corte di legittimità.


L'effettività della tutela dei diritti del danneggiato.

Stando così le cose, emerge in tutta la sua criticità la condizione di oggettiva e la estrema difficoltà pratica in cui viene posto il privato cittadino danneggiato dalla condotta di animali selvatici nell'esercitare in giudizio la tutela dei suoi diritti, trovandosi questi costretto, non solo a dover individuare e provare una specifica condotta colposa dell'ente convenuto, causativa del danno, ma anche a districarsi in un ipertrofico e confuso sovrapporsi di competenze statali, regionali, provinciali e di enti vari (enti parchi, enti gestori di strade e oasi protette, aziende faunistico venatorie, ecc.), i cui rapporti interni non sono sempre agevolmente ricostruibili, al fine di individuare l'unico soggetto pubblico effettivamente legittimato passivo, in concreto, in relazione all'azione risarcitoria avanzata (e ciò anche al fine di evitare la responsabilità per le spese processuali in relazione agli altri enti potenzialmente responsabili, eventualmente citati a "scopo cautelativo"), il che finisce in molti casi per risolversi in un sostanziale diniego di effettiva tutela, in evidente tensione con i valori costituzionali di cui agli artt. 3 e 24 Cost..


Inoltre, nella sostanza, tende ad affermarsi in concreto un regime della responsabilità civile per i danni causati dagli animali selvatici differenziato, regione per regione, regime di dubbia compatibilità sistematica con il principio, anch'esso di rilievo costituzionale, per cui la normativa regionale non può incidere sui rapporti di diritto privato.


Sulla base di tali argomentazioni, la Corte ha percepito la necessità di rimeditare la questione del fondamento della responsabilità per i danni causati dalla fauna selvatica protetta, per offrire un indirizzo chiaro e univoco.


La questione di fondo starebbe proprio nella scelta iniziale del criterio di imputazione della responsabilità, operata sul presupposto della impossibilità di estendere alla fauna selvatica il regime previsto dall'art. 2052 Cod. Civ., fondato sulla responsabilità oggettiva del proprietario dell'animale che ha causato il danno ovvero del diverso soggetto che lo utilizza per trarne utilità, superabile esclusivamente con la prova da parte di quest'ultimo del caso fortuito.

Tale scelta è stata essenzialmente giustificata sulla base dell'assunto per cui la disposizione di cui all'art. 2052 c.c. avrebbe riguardo esclusivamente agli animali domestici e non a quelli selvatici, in quanto il criterio di imputazione della responsabilità che esprimerebbe sarebbe basato sul dovere di "custodia" dell'animale da parte del proprietario o di chi lo utilizza per trarne un utilità (patrimoniale o affettiva), custodia per natura non concepibile per gli animali selvatici, che vivono in libertà.

Non pare al Collegio che tale assunto trovi però effettivo fondamento nella disposizione indicata.

Il criterio di imputazione della responsabilità per i danni cagionati dagli animali espresso nell'art. 2052 Cod. Civ. non risulta, in primo luogo, espressamente limitato agli animali domestici, ma fa riferimento esclusivamente a quelli suscettibili di proprietà o di utilizzazione da parte dell'uomo.

Inoltre, esso prescinde dalla sussistenza di una situazione di effettiva custodia dell'animale da parte dell'uomo, come si desume dallo stesso tenore letterale della disposizione, là dove prevede espressamente che la responsabilità del proprietario o dell'utilizzatore sussiste sia che l'animale fosse "sotto la sua custodia, sia che fosse smarrito o fuggito".

Si tratta dunque di un criterio di imputazione della responsabilità fondato non sulla "custodia", ma sulla stessa proprietà dell'animale e/o comunque sulla sua utilizzazione da parte dell'uomo per trarne utilità (anche non patrimoniali), cioè sul criterio oggettivo di allocazione della responsabilità per cui dei danni causati dall'animale deve rispondere il soggetto che dall'animale trae un beneficio (essendone il proprietario o colui che se ne serve per sua utilità: "ubi commoda ibi et incommoda"; la responsabilità rappresenta, in altri termini, la contropartita dell'utilità tratta dall'animale), con l'unica salvezza del caso fortuito.

Tanto premesso, appare corretta l'impostazione di chi afferma che, avendo l'ordinamento stabilito (con legge dello Stato) che il diritto di proprietà in relazione ad alcune specie di animali selvatici (precisamente quelle oggetto della tutela di cui alla L. n. 157 del 1992) è effettivamente configurabile, in capo allo stesso Stato (quale suo patrimonio indisponibile) e, soprattutto, essendo tale regime di proprietà espressamente disposto in funzione della tutela generale dell'ambiente e dell'ecosistema, con l'attribuzione esclusiva a soggetti pubblici del diritto/dovere di cura e gestione del patrimonio faunistico tutelato onde perseguire i suddetti fini collettivi, la immediata conseguenza della scelta legislativa è l'applicabilità anche alle indicate specie protette del regime oggettivo di imputazione della responsabilità di cui all'art. 2052 Cod. Civ.

In siffatta situazione, l'esenzione degli enti pubblici dal regime di responsabilità oggettiva di cui all'art. 2052 c.c., non potendosi in diritto giustificare - per quanto già chiarito - sulla base della impossibilità di configurare un effettivo rapporto di custodia per gli animali selvatici (non costituendo affatto la custodia il presupposto di applicabilità della disposizione che disciplina l'imputazione della responsabilità, ai sensi dell'art. 2052 c.c., come già chiarito), finisce per risolversi in un ingiustificato privilegio riservato alla pubblica amministrazione che deve certamente essere superato.


In particolare, in questo caso, poiché la proprietà pubblica delle specie protette è in sostanza disposta in funzione della tutela dell'ambiente e dell'ecosistema, che avviene anche attraverso la tutela e la gestione di dette specie, mediante l'attribuzione alle Regioni di specifiche competenze normative e amministrative, nonché di indirizzo, coordinamento e controllo (non escluso il potere di sostituzione) sugli enti minori titolari di più circoscritte funzioni amministrative, proprie o delegate, si determina una situazione che è equiparabile (nell'ambito del diritto pubblico) a quella della "utilizzazione" degli animali da parte di un soggetto diverso dal loro proprietario, ai fini dell'art. 2052 c.c.: la funzione di tutela, gestione e controllo del patrimonio faunistico appartenente alle specie

protette operata dalle Regioni costituisce nella sostanza una "utilizzazione", in senso pubblicistico, di tale patrimonio, di cui è formalmente titolare lo Stato, al fine di trarne una utilità collettiva pubblica per l'ambiente e l'ecosistema.


Pertanto, nell'ottica della stessa previsione legislativa di una proprietà pubblica, evidentemente funzionalizzata ad interessi e utilità collettive, comporta, ad avviso della Corte, l'applicabilità della disposizione di cui all'art. 2052 c.c., nella parte in cui attribuisce la responsabilità per i danni causati dagli animali al soggetto (in tal caso pubblico) che "se ne serve", salvo che questi provi il caso fortuito.

Tale soggetto, in base alle disposizioni dell'ordinamento in precedenza richiamate, va individuato certamente, ed esclusivamente, nelle Regioni, dal momento che sono queste gli enti territoriali cui spetta, in materia, non solo la funzione normativa, ma anche le funzioni amministrative di programmazione, coordinamento, controllo delle attività eventualmente svolte (per delega o in base a poteri di cui sono direttamente titolari) da altri enti, ivi inclusi i poteri sostitutivi, per i casi di eventuali omissioni.

Sono dunque in sostanza le Regioni gli enti che "utilizzano" il patrimonio faunistico protetto al fine di perseguire l'utilità collettiva di tutela dell'ambiente e dell'ecosistema.

E' opportuno a tal proposito sottolineare che resta del tutto estranea alla problematica qui in esame, che riguarda esclusivamente la tutela risarcitoria, la diversa fattispecie relativa alle speciali tutele indennitarie per i danni alle coltivazioni previste dalla legislazione delle singole Regioni ai sensi della L. 11 febbraio 1992, n. 157, art. 26 (tutele che costituiscono misure di bilanciamento tra i contrapposti interessi, parimenti meritevoli di tutela, della collettività all'integrità ed all'ordinato sviluppo del patrimonio faunistico e dei coltivatori o proprietari alla preservazione delle loro attività o beni, ma che, da un lato, non sono ancorate ai rigorosi oneri di allegazione e prova normalmente richiesti agli attori in risarcimento e, dall'altro, sono limitate ad una quota di stanziamenti

discrezionalmente fissati dall'amministrazione).


Il regime di imputazione della responsabilità: l'onere della prova gravante sul danneggiato.

Per quanto riguarda il regime di imputazione della responsabilità, in applicazione del criterio oggettivo di cui all'art. 2052 c.c., sarà naturalmente il danneggiato a dover allegare e dimostrare che il danno è stato causato dall'animale selvatico.

Su di questi, dunque, graverà l'onere dimostrare la dinamica del sinistro nonché il nesso causale tra la condotta dell'animale e l'evento dannoso subito, oltre che l'appartenenza dell'animale stesso ad una delle specie oggetto della tutela di cui alla L. n. 157 del 1992 e/o comunque che si tratti di animale selvatico rientrante nel patrimonio indisponibile dello Stato.

E' opportuno chiarire in proposito che, nel caso di danni derivanti da incidenti stradali tra veicoli ed animali selvatici, non può ritenersi sufficiente - ai fini dell'applicabilità del criterio di imputazione della responsabilità di cui all'art. 2052 Cod. Civ. - la sola dimostrazione della presenza dell'animale sulla carreggiata e neanche che si sia verificato l'impatto tra l'animale ed il veicolo, in quanto, poiché al danneggiato spetta di provare che la condotta dell'animale sia stata la "causa" del danno.


Il concorso di colpa.

Inoltre quest'ultimo, per ottenere l'integrale risarcimento del danno subito, dovrà anche allegare e dimostrare l'esatta dinamica del sinistro, dalla quale emerga che egli aveva nella specie adottato ogni opportuna cautela nella propria condotta di guida (cautela da valutare con particolare rigore in caso di circolazione in aree in cui fosse segnalata o comunque nota la possibile presenza di animali selvatici) e che la condotta dell'animale selvatico abbia avuto effettivamente ed in concreto un carattere di tale imprevedibilità ed irrazionalità per cui - nonostante ogni cautela - non sarebbe stato comunque possibile evitare l'impatto, di modo che essa possa effettivamente ritenersi causa esclusiva (o quanto meno concorrente) del danno.

D'altronde, che il criterio di imputazione della responsabilità a carico del proprietario di animali di cui all'art. 2052 c.c. non impedisca l'operatività della presunzione prevista dall'art. 2054 c.c., comma 1, a carico del conducente di veicolo senza guida di rotaie per danni prodotti a persone o cose, compresi anche gli animali, dalla circolazione del veicolo, è affermazione costante nella giurisprudenza della Cassazione, sul presupposto che l'art. 2054 c.c. esprime principi di carattere generale, applicabili a tutti i soggetti che subiscano danni dalla circolazione (tra le molte, Sentenza n. 4373 del 07/03/2016, Rv. 639473 - 01).

La conclusione che se ne trae è che vi sia una sorta concorrenza tra due diverse presunzioni, per cui se nessuno supera la presunzione di responsabilità a suo carico dimostrando, quanto al conducente, di aver fatto tutto il possibile per evitare il danno e, quanto al proprietario dell'animale (cioè la Regione), il caso fortuito, il risarcimento andrebbe corrispondentemente diminuito; secondo alcune decisioni ciò avverrebbe in ragione di un concorso causale, ai sensi dell'art. 1227 Cod. Civ., comma 1; secondo altre, non occorrendo accertare in concreto il concorso causale del danneggiato, la diminuzione del risarcimento si determinerebbe in virtù di una "presunzione di pari responsabilità" derivante dagli artt. 2052 e 2054 Cod. Civ.; potrebbe, in verità, dubitarsi di tale ultima conclusione e ritenersi gravare comunque in primo luogo sul conducente del veicolo la prova di aver fatto tutto il possibile per evitare il danno, come in tutti i casi in cui il sinistro derivante dalla circolazione non abbia comportato uno scontro tra veicoli, in quanto la cosiddetta "presunzione" di cui all'art. 2052 c.c. - che in realtà è un criterio di imputazione della responsabilità - non è equiparabile a quella di cui all'art. 2054 c.c., comma 1, poiché essa - diversamente da quest'ultima - non riguarda la efficienza causale della condotta dell'animale a cagionare il danno, che si presuppone già dimostrata dal danneggiato, ma esclusivamente l'imputazione al proprietario o all'utilizzatore dell'animale della responsabilità per i danni da tale condotta cagionati; il criterio di imputazione della responsabilità di cui all'art. 2052 c.c. in realtà opera in un momento logico successivo rispetto a quello dell'accertamento della concreta responsabilità dell'incidente stradale, per la quale opera invece certamente la presunzione di cui all'art. 2054 c.c., comma 1.


L'oggetto della prova liberatoria.

Laddove il danneggiato abbia già dimostrato che la condotta dell'animale selvatico appartenente a specie protetta di proprietà statale sia stata la causa, esclusiva o concorrente, del danno, per quanto riguarda la prova liberatoria, il cui onere grava sulla Regione, essa deve consistere, ai sensi dell'art. 2052 c.c., nella dimostrazione che il fatto sia avvenuto per "caso fortuito".

In sostanza, la Regione, per liberarsi dalla responsabilità del danno cagionato dalla condotta dell'animale selvatico, dovrà dimostrare che tale condotta dell'animale si sia posta del tutto al di fuori della sua sfera di possibile controllo, come causa autonoma, eccezionale, imprevedibile ed inevitabile del danno, e come tale sia stata dotata di efficacia causale esclusiva nella produzione dell'evento lesivo, cioè che si sia trattato di

una condotta che non era ragionevolmente prevedibile e/o che comunque non era evitabile, anche mediante l'adozione delle più adeguate e diligenti misure di gestione e controllo della fauna (e di connessa protezione e tutela dell'incolumità dei privati), concretamente esigibili in relazione alla situazione di fatto, purché, peraltro, sempre compatibili con la funzione di protezione dell'ambiente e dell'ecosistema cui la stessa tutela della fauna è diretta.

Appare evidente alla Corte che, proprio nella corretta valutazione di tale prova liberatoria, possono essere adeguatamente contemperate le contrapposte esigenze, in precedenza

già evidenziate, di garantire al danneggiato una effettiva adeguata tutela dei propri diritti, in conformità ai principi generali dell'ordinamento, uniformi sull'intero territorio nazionale, senza che ciò determini una incontrollata ed eccessiva espansione della responsabilità civile della pubblica amministrazione, anche per danni del tutto sottratti alla possibilità di un adeguato ed effettivo controllo.


I rapporti tra gli enti titolari di funzioni (proprie o delegate) di gestione e tutela della fauna selvatica protetta e/o ai quali comunque spetta di adottare le opportune misure di cautela e protezione per la collettività.

Resta da prendere in esame l'ipotesi in cui, dimostrato dall'attore che il danno è stato causato dalla condotta dell'animale selvatico protetto di proprietà pubblica, non sia fornita dalla Regione la prova liberatoria, ma risulti che le misure che avrebbero potuto impedire il danno avrebbero dovuto essere poste in essere non direttamente dalla stessa

Regione, ma da un altro ente, cui spettava il relativo compito in quanto era stato a tanto delegato, ovvero trattandosi di competenze di sua diretta titolarità.

In base a quanto in precedenza esposto, va in primo luogo ribadito che una tale eventualità non modifica il criterio di individuazione del cosiddetto legittimato passivo (cioè dell'ente cui è imputabile la responsabilità del danno sul piano sostanziale), che resta in ogni caso la Regione.

Laddove peraltro, il danno si assuma essere stato causato dalla condotta negligente di un diverso ente, cui spettava il compito (trattandosi di funzioni di sua diretta titolarità ovvero delegate) di porre in essere le misure adeguate di protezione nello specifico caso omesse e che avrebbero impedito il danno, la stessa Regione potrà rivalersi nei confronti di detto ente e, naturalmente, potrà anche, laddove lo ritenga opportuno, chiamarlo in causa nello stesso giudizio avanzato nei suoi confronti dal danneggiato, onde esercitare la rivalsa (in tal caso l'onere di dimostrare l'assunto della effettiva responsabilità del diverso ente spetterà alla Regione, che non potrà naturalmente avvalersi del criterio di imputazione della responsabilità di cui all'art. 2052 c.c., ma dovrà fornire la specifica prova della condotta colposa dell'ente convenuto in rivalsa, in base ai criteri ordinari).

Tuttavia, tali questioni, che di frequente si pongono nei giudizi di responsabilità per i danni causati dalla fauna selvatica, non saranno quindi di regola direttamente rilevanti ai fini della tutela del danneggiato che abbia agito nei confronti dell'ente regionale, che da questo potrà in ogni caso ottenere il risarcimento che gli spetta, ma esclusivamente nell'ambito dei rapporti interni tra gli enti cui è devoluta la complessiva funzione di gestione e tutela della stessa fauna e ai quali comunque spetta di adottare le opportune misure di cautela e protezione per la collettività.

Anche in tal modo, ritiene la Corte, risulteranno adeguatamente contemperate le opposte esigenze di garantire una adeguata ed effettiva tutela ai diritti del danneggiato, in base ai principi generali del diritto civile uniformi su tutto il territorio nazionale, e di individuare l'ente pubblico (o privato) effettivamente responsabile del danno, sul quale dovrà in definitiva gravare l'onere economico del risarcimento.


In conclusione, sulla base di quanto sin qui esposto, la Corte Suprema di cassazione ha dunque enunciato il principio di diritto riportato in capo.


 
 
 

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